Arte e Management.

Inauguriamo oggi una rubrica che potrebbe sembrare apparentemente irrazionale o quantomeno piuttosto ardita nell’accostamento tra una delle forme di comunicazione più nobili che l’uomo abbia mai sviluppato e la gestione pratica della vita di un’azienda.

La domanda, lecita, è la seguente: qual è il nesso tra queste due “creazioni” umane apparentemente così lontane tra di loro? Lontane nelle intenzioni, nelle forme comunicative, nelle risorse messe in atto per esercitarle, nelle caratteristiche degli interpreti che di queste “creazioni” vivono e si nutrono.

Il lavoro è sempre stato considerato un fattore essenziale per la vita dell’uomo. Fin da primi agglomerati “urbani” si è sviluppato un senso di assoluta necessità di produrre ciò che è necessario alla sussistenza della comunità che poi, nel tempo, ha sviluppato quella cultura della #produttività di cui oggi siamo permeati. La sopravvivenza di un nucleo di esseri umani riuniti in un villaggio era strettamente legata alla #capacità di prendersi cura delle necessità primarie di ognuna delle sue “cellule”. Maggiori erano le dimensioni della comunità che si andava creando, maggiori erano le esigenze che dovevano essere coperte. È questo che ha reso possibile lo sviluppo di nuove attività lavorative alternative alla caccia e all’agricoltura.

Il lavoro, pertanto, è un’attività “materiale”, legata cioè ai bisogni fisici della comunità.

L’Arte, in contrapposizione, nasce dall’esigenza di esprimere i propri bisogni #emotivi, di comunicare agli altri i nostri sentimenti, le nostre paure e le nostre speranze, o “semplicemente” il nostro punto di osservazione del mondo che ci circonda. È quindi una delle forme di espressione più spirituali che abbiamo mai creato. Nel corso dei secoli ha assunto un ruolo di “ricreazione” dello spirito. Si potrebbe pensare, dunque, che ne sentiamo l’esigenza solo quando abbiamo la “pancia piena”. Vedremo che non è così. Abbiamo bisogno dell’Arte tanto quanto del pane.

Ma soprattutto, l’Arte è divenuta uno specchio nel quale rifletterci e riuscire a fare una sincera valutazione di noi stessi, che è uno degli esercizi più difficili che l’essere umano possa compiere. Il grande drammaturgo irlandese George Bernard Shaw scrisse: “Si usano gli specchi per guardarsi il viso, e si usa l’Arte per guardarsi l’anima”.

4humans accoglie e diffonde il principio di etica applicato al mondo del lavoro. La parola “etica” deriva dal termine greco ethos, il cui significato originale è “il posto da vivere”. Dalla stessa radice proviene la parola ethikos, ovvero “teoria del vivere”. Nel linguaggio filosofico si tende a differenziare il termine “etica” da “morale”, intendendo con quest’ultimo l’insieme di valori, norme e costumi di un individuo o di un gruppo, e riservando la parola etica alla speculazione filosofica sul comportamento umano, cioè alla morale intesa come disciplina.

Siamo convinti che non esista un modo giusto di lavorare che prescinda dall’etica. E dal momento che questa è stata violentemente estromessa dai rapporti d’affari (e non soltanto…), riteniamo che sia fondamentale riportare la “disciplina morale” dentro il mondo del lavoro.

Chiediamo aiuto all’Arte per fare questo. Allo “specchio dell’anima”.

Perché se è vero che il lavoro nobilita l’uomo, siamo convinti che l’Arte nobiliti il lavoro.

(Nell’immagine: “Seminatore al tramonto”, 1888, di Vincent Van Gogh, olio su tela. Museo Kröller-Müller, Otterlo, Olanda)

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